Biagio Longo Nasce a Laino Borgo il 4 febbraio 1872 da Luigi Longo e Caterina Caputo; frequentò il Liceo a Cosenza dove risultò vincitore della "Borsa di studio Pizzuti" per l'università di Roma, ivi addottorandosi nel 1895 in scienze naturali. Ritornato a Laino, prese a studiare e a indagare con passione sulla flora ricca e non comune della Valle del Lao, del Pollino e della Sila e sulle possibili applicazioni industriali e medicinali, specie delle erbe aromatiche che vi abbondano. Trasferitosi a Roma fu nominato prima assistente e poi aiuto ricercatore dell'Istituto Botanico, nel 1901 consegui la libera docenza e nel 1903 insegnò Storia delle Droghe Medicinali nella Scuola di Farmacia. Vincitore di concorso, ottenne nel 1906 la cattedra di Botanica all'Università di Siena, dove rimase nove anni, curando l'orto e dando vita all'Istituto Botanico. Nel 1915 passò a Pisa, nominato Preside della Facoltà di Scienze. Nel Novembre 1924, con voto unanime della Facoltà di Scienze, fu chiamato a coprire la cattedra di Botanica dell'Università di Roma che rifiutò, stabilendosi nel Novembre 1929 definitivamente a Napoli, alla direzione dell'Orto Botanico con annessa Stazione delle Piante Officinali, che, grazie alla sua guida, ebbe notevole impulso e fama internazionale. Studioso insigne nel campo della biologia vegetale, approfondi l'indagine e la ricerca di floristica, , di genetica, di embriologia, citologia e di fisiologia della riproduzione. Fra i suoi studi più importanti ricordiamo: l'embriologia e il percorso del tubo pollinico nel Cynomorium Coccineum ,nelle Cucurbitacee e nel Ficus Carica; la nutrizione dell'embrione in cucurbita per mezzo del tubo pollinico; la biologia del fico e del caprifico, il cambiamento del sesso in varie piante, studi tutti riportati e pubblicati nelle memorie, relazioni e atti delle tre Accademie, d'Italia ,dei Lincei e Leonardo da Vinci, fra le tante di cui fu socio. Si devono a lui l'identificazione sul massiccio Appenninico calabro-lucano del Pollino del Pinus Leucodermis erroneamente riferito in precedenza da tutti gli altri botanici ad altra specie; e della Chamaerops Humilis in esemplari secolari a Populonia in Toscana, nonché altre scoperte nella flora del Lazio, delle Marche e della Toscana, come pure sua fu l'iniziativa nel 1919 dell’istituzione del Parco Nazionale della Calabria, in Sila. Se insigne fu lo studioso e il ricercatore, altrettanto grande fu il maestro, in costante diretto rapporto con i giovani ai quali inculcava l'obiettività nelle osservazioni, il rigore scientifico e l'amore per la cultura , operoso e tenace fu come organizzatore. Profondamente legato ai valori dell'italianità, non trascuro occasioni, quando iniziava il malvezzo intellettuale dell'esterofilia, per rivendicare all'Italia la priorità di importanti scoperte, rievocando l'opera dei biologi Malpighi e Spallanzani, dei botanici Frediano Cavara e Domenico Vandelli e del naturista Giovanbattista Amici. Nonostante le ripetute distruzioni della sua abitazione e dell'orto botanico, più volte bombardate, l'ultima guerra non lo distrae dai suoi studi e dall'impegno di educatore. La fine del conflitto lo trovò privo dell'affetto della fedele compagna della sua vita, (la naturista argentina Beatrice Armari che aveva sposato l'11 aprile 1907), e perciò d'un tratto invecchiato nel fisico e nel morale. I suoi dolori però, accomunati alle disgrazie degli Italiani, gli fecero trovare la forza di reagire. "Il passato è passato - soleva ripetere - bisogna rivolgere lo sguardo solo all'avvenire e convogliare e unire le forze per conseguire nuove mete". All'età di 77 anni, nella sua abitazione di Roma e dove viveva col figlio Luigi (direttore dell'Istituto di Patologia del Libro dell'Università di Roma), pensava di concedersi una tregua e di ritemprarsi con un breve soggiorno in una stazione climatica delle Alpi, quando fu colpito da male implacabile. Consapevole della prossima fine, l'accettò con stoica rassegnazione, attendendo al riordino dei suoi scritti e dando al figlio, che lasciava solo, le ultime disposizioni. Morì a Roma il 29 novembre 1950.Con Biagio Longo, scompariva un lainese e un italiano illustre, che lasciava un nobile ricordo e un prezioso insegnamento: "occorre essere uomini e italiani prima che scienziati e professionisti".
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